Il Mausoleo di Santa Costanza

Sperimentare la sospensione del tempo, tra la fine del mondo pagano e l’avvento dell’era cristiana

Il Mausoleo, costruito tra il 340 -345 d.C. all’interno del complesso monumentale di S.Agnese fuori le mura, si trova sulla via Nomentana.
Siamo nell’ultimo periodo della Storia Antica, in 126 anni si entrerà nel Medioevo. In questa chiesa già comincia a sentirsi il cambiamento epocale, il declino dell’impero che porterà quasi mille anni di decadenza, spopolamento e terrore nella città che è stata il centro della civiltà occidentale.

Sentiamo come Ilaria Berltramme nel suo libro “La storia di Roma” descrive l’atmosfera unica che si respira dentro questa chiesa dalla forma circolare:

“Ciò che troverete è un cosmo di simbologie ancora acerbe e profondamente legate all’iconografia pagana.

Guardatele bene quelle foglie di vite, attorcigliate e prepotenti. Che cosa vi dicono? Esercitano la vostra sensibilità sulla fertilità della Dea Madre, o sul vino protagonista del sacramento più sacro della cristianità? Osservate i pavoni che sono un simbolo della vita oltre la morte in tutti e due gli universi.
L’ambiguità è la lingua del luogo, ma non è maligna, né ruffiana.

È proprio il tono del periodo in cui l’antico si può ancora chiamare tradizione e il nuovo viene da Oriente, da un mondo che fino a pochi secoli prima era ancora Roma, ma nel IV secolo è già un altro pianeta. Un pianeta spesso ostile.

E, in fondo, quando nel XVII secolo una combriccola di artisti fiamminghi decise che – proprio per i tralci di vite e per la “paganità” dei mosaici antichi – quel luogo non poteva essere altro che un tempio di Bacco e quindi il “covo” ideale per le loro riunioni dedicate al dio, non erano poi così lontani dalla realtà, dal genius loci che ancora ci sussurra storie nel pulviscolo della chiesa. Durante i loro rituali, il porfido rosso del sarcofago della famiglia imperiale (quello che vedete oggi è una copia, l’originale è ai Musei Vaticani) serviva da vasca per un gaudente bagno nel vino e fu così – per inciso – che si persero le spoglie mortali della figlia di Costantino, mentre fra un bagno e l’altro il tempo risucchiava distruggendole le tessere dei mosaici della volta centrale, impedendoci oggi di leggere altre storie fragili e ambigue sulla nascita del cristianesimo. Peccato.

Infine, si tende spesso ad accomunare sotto lo stesso “cappello” sbrigativamente bizantino tutta la produzione musiva dall’inizio del Medioevo in poi, i mosaici di Santa Castanza servono anche ad abbattere un luogo comune duro a morire. Il loro farsi “cerniera” fra due epoche, due culture, due “visioni” religiose della vita e della fede restituisce un po’ di giustizia a una tradizione decorativa che a Roma è sempre stata di casa e qui si esprime in un linguaggio più che comprensibile e soprattutto localissimo.

Nella circolarità di Santa Costanza il tempo si è incastrato in un vortice. Si è disintegrato in particelle di polvere illuminate dalla luce romana. È l’ultimo momento in cui la metropoli è ancora se stessa, si guarda e si riconosce. Il filo non si è spezzato, l’antico non è una chimera. Qui è ancora una memoria viva.”

Fonte: “La storia di Roma in 100 monumenti e opere d’arte” Ilaria Beltramme. Newton Compton Editori pagine 127-130-131-132 stampato nel novembre 2015

Costanza o Costantina

Costantina o Costanza (318 circa – Bitinia, 354) è stata una nobildonna romana appartenente alla dinastia costantiniana, che governò sull’Impero romano nella prima metà del IV secolo. Costantina era la figlia dell’imperatore romano Costantino I e di Fausta, a sua volta figlia di Massimiano. Ebbe il titolo di augusta dal padre. Era sorella degli imperatori Costantino II, Costanzo II e Costante I, moglie del «re» Annibaliano e del cesare Costanzo Gallo.

Costantina, con il nome di Costanza, è venerata come santa dalla Chiesa cattolica. La leggenda vuole che, ammalata incurabile, Costanza si sarebbe recata sulla tomba di sant’Agnese a Roma, dove sarebbe miracolosamente guarita; a seguito di questo miracolo, Costanza si sarebbe convertita al cristianesimo. (Fonte Wikipedia)

Per questo motivo avrebbe fatto costruire la Chiesa di Sant’Agense, fuori dalle mura della città collegato al Mausoleo della sua famiglia.

“Questo insieme di edifici sacri e rovine […] è interamente frutto della volontà della figlia di Costantino, […] che seguendo il destino della capostipite della famiglia imperiale, Elena, scelse l’Occidente e Roma come casa. Di Costanza si sa che il padre la nominò Augusta, ma allora il termine aveva un valore abbastanza diverso da quello originario antico.
Le fonti storiche dell’epoca, inoltre, ce la restituiscono in modo drammaticamente polarizzato: è rabbiosa, crudele, vendicativa e inarrestabile per Ammiano Marcellino. Oppure una donna pia, estremamente attiva nella celebrazione delle spoglie dei martiri (quelle a Sant’Agnese in particolare), secondo le parole attribuite a papa Damaso I.

Il dinamismo della giovane nobile, in sostanza, è l’unico dato comune e a quello conviene riferirsi, dunque. […]

Al contrario di suo padre, inoltre, si sa che Costanza abbracciò la fede cristiana, senza però abbandonare l’interesse più politico per la città. […]”

Fonte “La Storia di Roma in 100 monumenti e opere d’arte” di Ilaria Beltramme – Newton Compton Editori

I Bamboccianti e il tempio di Bacco

Bambocci! Un gruppo di “falsari e guitti / e facchini, monelli, tagliaborse… / stuol d’imbriachi e gente ghiotta …” Erano i bamboccianti, un’allegra congrega di pittori fiamminghi, residenti a Roma nel XVII secolo. Amanti della bella vita, in aperta polemica con lo stile Barocco, rappresentavano scene di vita popolare.
Dediti al vino, erano famosi per i loro baccanali e riti di iniziazione di gusto pagano che celebravano in quello che credevano essere il tempio di Bacco. L’errore era dovuto alla forma circolare dell’edificio e alla sua decorazione con foglie di vite, anche sul bellissimo sarcofago in porfido rosso.
Non si trattava del tempio di Bacco, ma del mausoleo di Santa Costanza sulla via Nomentana. Chissà se la figlia di Costantino sarebbe stata contenta di vedere profanato il suo mausoleo dai barbari.

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